I partigiani della Pesciola

Milanes

Storia raccontatami da Giuseppe Ferrario di Lecco

 

Verso la fine del 1943 in Valtorta era giunta una formazione fascista di SS la quale era riuscita, mascherandosi da partigiana, a far cadere in un agguato due giovani di Barzio che si trovavano in quel paese per far incetta di burro.
Furono fucilati.
Sui piani di Bobbio nel dicembre dello stesso anno, alcuni militi dispersi, forzato il rifugio Savoia e immobilizzati temporaneamente fratello e sorella Gargenti, li depredarono delle provviste dandosi alla macchia verso la Valtorta.
Nello stesso giorno il maggiore dei fratelli
La baita nella neve
                                               
Gargenti, Giuseppe, con altri fece una scorreria fin sopra il paese e vi fu anche uno scontro a fuoco.
Il 20 febbraio 1944 le SS fasciste, di nuovo mascherate da partigiani, incontrano sui piani di Bobbio altri due giovani di Barzio, dopo un breve colloquio, li convincono di trovarsi il giorno seguente con altri compagni alla Baita della Pesciola e di portare fucili e medicinali di cui avevano bisogno.
I due giovani partigiani rientrano a Barzio e si mettono in contatto con i compagni e fra questi Giovanni Gargenti, Carletto Amati e Natale Arrigoni.
Il Gargenti Giovanni gestiva l'albergo Principe di Barzio, l'Amati dirigeva il Dopolavoro Arturo Buzzoni.
Natale Arrigoni faceva il muratore.
Dunque l'appuntamento era alla Baita della Pesciola, che si trova nella parte alta della Valle di Faggio.
Si può raggiungere da Moggio oppure da Barzio per Bobbio, percorrendo un sentiero a lato e di sopra della capanna Lecco e passando il contrafforte che divide la Valle dei Camosci dalla Valle di Faggio.
Baita solitaria posta accanto a una piccola raccolta d'acqua piovana, circondata da oscuri
dirupi che limitano da un lato la Valle di Faggio.
All'alba i tre giovani ansiosi di portare il loro aiuto agli amici partigiani, dopo aver aspettato inutilmente i due di Barzio che avevano fatto da collegamento, s'avviano con i medicinali e i fucili.
Alle dieci sono sulla cresta che divide la Valle dei Camosci dalla Val di Faggio.
Qui con sorpresa i militi della Valtorta li aspettavano in uniforme partigiana e con la stella rossa sul berretto.
Erano circa una ventina d'uomini.
L'Arrigoni da solo andò nella sottostante baita per collocare quanto aveva portato, lasciando che gli altri lo seguissero.
Entrati tutti nella baita, quello che aveva il grado di ufficiale delle SS, diede il comando: "Mani in alto" e additando ai tre la stella rossa che portava sul berretto,"Noi non siamo quelli che voi attendavate"!
I tre spaventati si adossarono alla parete, l'ufficiale chiese la loro identità.
"Gargenti" disse il primo interrogato.
L'ufficiale, come se quel nome gli richiamasse un ricordo, gli domandò dove avesse nascosto sui piani le armi.
Il giovane spaventatissimo urlò che quel Gargenti era suo fratello che era rimasto in paese.
Lui non sapeva niente delle armi e tanto meno dove potevano essere nascoste.
Anche l'Arrigoni non sapeva nulla.
L'ufficiale estratto dal fodero la rivoltella, mentre i giovani partigiani si coprivano il volto con le mani, uno dopo l'altro, con tre colpi, li abbatté.
L'Arrigoni venne colpito al braccio sinistro, e il proiettile deviò e andò a strisciare sulla guancia.
Piegandosi in avanti col corpo, con la faccia rivolta in basso, si finse morto trattenendo il respiro.
Il dibattersi degli altri due morenti distrasse l'attenzione delle SS, che usarono altri colpi per finirli.
Poi tornarono dall'Arrigoni immobile e per essere sicuri della sua morte non gli spararono ma gli assestarono una pugnalata al cuore, bene assestata.
Sorprendentemente l'Arrigoni sopportò questa prova senza tradirsi.
Una acuta sensazione di bruciore al petto, ma restò immobile.
La lama ere entrata in prossimità del cuore, ledendo il polmone e producendo una emoragia interna.
Le SS prese dal timore di essere scoperte, in tutta fretta, afferrarono le vittime per le gambe con la testa e le braccia all'ingiù buttarono i corpi sul fieno e chiusa la porta si allontanarono.
L'Arrigoni rimasto solo con i compagni morti attese un po' prima di uscire.
Con la cinghia di uno dei compagni legò il braccio al collo.
Tutto era silenzio le SS erano al di là dei piani di Bobbio per scendere in Valtorta.
L'Arrigoni lentamente e con una fatica disumana, come un sonnambulo per il trauma subito, in prossimità del cuore una sensazione di freddo come se si stesse ghiacciando, si mise a discendere il monte.
Le forze gli mancarono e sfinito si accasciò e non potè rialzarsi.
Ma quel giorno la fortuna era con lui e un montanaro lo vidi e diede la voce ad altri perché accorressero in soccorso.
Trasportato in luogo sicuro venne curato del dottore Strigelli.
(Secondo altre fonti fu arrestato a Barzio il 21/2/1944, deportato da Milano il 17/8/1944. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenburg, liberato a Leitmeritz).
A guerra finita l'Arrigoni riprese le sue occupazioni e fu pure per un quinquennio Assessore del Comune di Barzio.
Da parte delle autorità vi furono delle indagini per scoprire l'identità di quell'ufficiale della SS autore del delitto.
All'Arrigoni era sembrato di riconoscerlo in un sospettato, ma non poté affermarlo con sicurezza e una ventina di persone testimoniarono in favore del prevenuto.
Pagina di storia partigiana o una pagina di cronaca nera?
Una storia di vendetta, di furti in ville di ricchi brianzoli e milanesi nel barziese?
Di frequente passo dalla baita e sempre sono preso da un senso di tristezza.
Quando nevica e fa un freddo intesso mi riparo sotto il portico e come in una visione ni pare di vedere ucire non una mucca a pascolare, ma quei militi con l'ufficiale che in tutta fretta prendono la via del ritorno dopo aver compiuto il delitto.
Una lapide sbiadita ricorda un triste episodio della guerra d'italiani contro italiani.
Sabato 4 novembre come tutti gli anni sono salito alla baita per accendere un lume, il lume della memoria.
Sempre in quel funesto anno le SS e le brigate nere davano la caccia ai piani di Bobbio e di Artavaggio ad alcune formazioni partigiane.
Tutte le baite e le capanne furono bruciate.
E alla vigilia di quel capodanno i militi delle brigate nere catturarono sorprendendoli nel sonno una decina di partigiani.
Trascinati a valle, preda di guerra, li fecero addossare al muro di cinta del cimitero di Barzio e li finirono con le sventagliate dei loro mitra.
Era il 31 dicembre 1944.

Arrigoni Natale, nato a Barzio il 3/12/1911, Muratore, arrestato a Barzio il 21/2/1944, deportato da Milano il 17/8/1944. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenburg, liberato a Leitmeritz  

Inizio pagina